| E' da questa primavera che volevo scrivere questa storia ahhah ma come sempre, la mia mente una volta che parte a scrivere non segue quello che vorrei facesse, per cui è andata un pò fuori briglia questo primo capitolo ahahah (deve essere stato l'effetto del burro d'arachidi).
Dunque, non è ambientata in Canada e sono abbastanza certa che i Plans non abbiano mai neanche suonato alla Knitting Factory o che mai ce li faranno andare. Comunque =) è un capitolo di prova,ditemi voi!
Capitolo 1
Odiavo profondamente tutto quello e odiavo dover sentire odio verso qualcosa o qualcuno. Crescendo, avevo sempre avuto quella paura, di diventare come gli altri, di non essere buona abbastanza per essere davvero migliore come volevo. Quando tutti credono che tu non valga niente, puoi sbagliare quanto vuoi, tanto ormai ti hanno già lasciato perdere. Un altro giorno passato a pensare a queste cose. Avrei dovuto smetterla, ne ero consapevole, ma mentre fissavo le travi del soffitto stesa sul letto con Plutone acciambellato a ronfarmi sulla pancia, non potevo distrarmi. Ecco che mi chiedevo ancora se tutte le volte passate a dire, ad urlare "tanto per quanto voi non possiate credere in me, io ci crederò sempre", non erano davvero soltanto perdite di tempo. Magari dovevo dar retta ai miei e darci un taglio, una volta per tutte. Ogni tanto mi prendeva sempre quel generale senso di sconforto che neanche le tue canzoni preferite sanno portar via. Puoi passare ore intere a cantare che non vuoi far parte della maggioranza del buon costume e che vuoi essere parte della minoranza, ma fin quando non fai realmente qualcosa a proposito, è tutto tempo sprecato. Potevo vedermi benissimo a quaranta anni totalmente priva di fantasia, con un marito odiato e dei figli che pensavano io fossi la più sfigata delle madri che potessero avere, e a quel punto, mentre me ne stavo da sola in casa avrei capito che i miei sogni non erano altri che sogni e che forse, se avessi dato retta a chi mi diceva di mettere la testa a posto, sarebbe davvero andato tutto in maniera migliore. Il punto era che, per quanto sapessi fosse rischioso, non mi andava affatto di cambiare, per quanto sapessi che le possibilità che quella donna sui quaranta,visione futura di me stessa, diventasse sempre più una prospettiva reale rispetto a quella bella e felice, non ero ancora abbastanza demotivata da scegliere la strada che gli altri avevano così sapientemente tracciato per me. Tanto, comunque fosse andata avanti la mia vita, sarei sempre stata troppo debole ai loro occhi per prendere una qualsiasi decisione in totale autonomia.
Dovevo uscire da quella casa. Saltai giù dal letto e Plutone emise un miagolio soffuso sgattagliolando fuori dalla camera. Mia mamma era di sotto, mio fratello nella camera accanto. Le possibilità di uscire erano ridotte a meno di zero. Almeno quelle di uscire dalla porta principale lo erano. Così mi voltai verso la finestra che dava sul tetto del garage, era vicinissimo, meno di un balzo e sarei stata libera e lo feci. Bè non esattamente un balzo, dato il mio equilibrio precario sulle Converse ma comunque in meno di due minuti, stavo già correndo giù per la strada. Dovevo arrivare a casa di Mandy prima che uscisse per andare al concerto. Il che voleva dire correre a velocità limite per me nelle strade trafficate di Belleville innevicata. Quando arrivai davanti casa sua, mi salutò da dietro le tende. "Oddio Em, pensavo che non saresti mai arrivata". "Siamo ancora in tempo?". "Per l'ultima fila si". "Aspetteremo la band fuori", le dissi con un sorriso che lei ricambiò radiosa. "Vieni la macchina è già accesa. Non volevo correre il rischio non si mettesse in moto". "Perfetto". Il piano, che non avevamo affatto preparato neanche nei dettagli più importanti, era di arrivare alla Knitting Factory, rimediare due biglietti e cercare di godersi il concerto al meglio possibile. "Allora, sei pronta?", mi chiese ancora una volta. "A tavoletta sorella", le dissi e ci mettemmo a ridere. Nonostante la musica fosse una distrazione per davvero e non la vera soluzione ai problemi miei o di Mandy, ci andava bene così. Era quel piccolo mondo perfetto, fatto di concerti tenuti in camera da letto, lanciandosi dai comodini sui materassi come se fossimo a fare crowd surfing al Warped Tour o al big Day Out. I 27 minuti dell'itinerario scaricato due ore prima da Google, si ridusse a 15. Se dovevamo prendere una multa, almeno, sarebbe stato per un buon motivo. Lo era per noi se non altro. "Quindi ci proviamo a prendere i biglietti?". "Certo. Cioè...abbiamo seriamente 200$?", chiesi scettica. "Arrivo a stento a 50$", sospirò. Schizzammo velocemente attraverso Laight Street, giù dritto verso la Canal, e poi passammo in meno di dieci minuti per Little Italy e poi arrivammo a Broadway dove il traffico ci rallentò. "Allora che dici?", mi chiese schiacciando freneticamente sul clacson della vecchia Chevy. "Dovremmo andare sulla Leonard adesso". Ci guardammo attorno in cerca dell'indicazione per la strada. "La vedi?". "Io non ci vedo fin la giù", mi lamentai. "Cosa ti avevo detto degli occhiali?". "Possiamo non parlarne...un'altra volta?". "Ah solo perchè abbiamo fretta". "Che dici di tagliare...". "No! Soho è fuori discussione". "Che ne sai...". "Perchè c'è il pittore che ti piace fissare e ci mettiamo sempre una vita quando deviamo per di lì". "Ok ok". "Non abbiamo molte alternative a stare qui nel traffico". "Anche perchè non ci lasceranno mai e poi mai passare. Siamo letteralmente imbottigliate". Sospirammo all'unisono e poi scoppiamo a ridere. "Dovrebbero chiederci come minimo di andare a cena con loro per tutto questo casino che stiamo facendo per andare". "Si. Pensa, potrebbe succedere", mi rispose senza smettere di sorridere. Alzai gli occhi al cielo. "Tu non capisci. Se fosse Billie Joe?". "Ci avrebbe fatto trovare i biglietti fuori la porta di casa". "Si così tua madre li prendeva e gli dava fuoco direttamente". "Si hai ragione". Ridemmo ancora e il traffico cominciò a scorrere quel tanto che bastava perchè potessimo svicolare nella Leonard e quando la Knitting Factory fu in vista, Mandy inchiodò con uno stridio di freni degno di un film horror. "Ci siamo". "A che ora comincia?". "Alle 21.00". "E sono?", le chiesi. "Le 21.10". "Perfetto". Scendemmo dall'auto e cercammo di entrare nel locale. Impresa impossibile, sul dizionario, doveva essere spiegato con una foto di noi davanti a quel marasma di gente. "Dove andate ragazze?", ci chiese il gorilla della security. "A bere qualcosa?", tentò Mandy. "Quanti anni avete?". "22", rispondemmo all'unisono. Il gorilla alzò un sopracciglio e poi si mise a ridere. "La serata è over 18". "Infatti", risposi seccata. "Certo, ragazzine, ora però toglietevi dai piedi". Ci trascinò via per il braccio fino all'uscita sul retro dove ci chiese, molto poco gentilmente di andarcene. "Che buzzurro", scoppiai a ridere. "Buzzurro? Come sei fine Mandy". Mi fece la linguaccia e si voltò verso l'inizio del vicolo. "Dove vuoi andare?". "Dici che il tizio più carino ce lo trova un modo per entrare?". "Ci chiederà i documenti". "Si e noi abbiamo 21 anni compiuti". "Si ma penseranno che siano falsi". "E allora che facciamo?". Si soffiò via un ciuffo di capelli dalla fronte e si sedette su delle casse di legno vuote. Mi sedetti vicino a lei e le passai un braccio sulle spalle. "Direi di cercare qualcuno della crew che ci faccia passare". "Ti pare facile?". "Del gruppo spalla", le dissi. Così ci alzammo e andammo alla porta di ferro da cui eravamo appena state cacciate. Mentre stavamo per bussare, un ragazzo alle nostre spalle ci sorpassò e ci sorrise, seguito poco dopo dal suo amico. Aveva un ciuffo rosa che usciva spettinato dal cappuccio della felpa e le mie labbra si piegarono automaticamente in un sorriso. "Serve un pass ragazze?", ci chiese l'amico moro. "Sareste così gentili?", chiese Mandy. Nello stesso istante, ci porsero un braccio a testa e sorrisero ancora di più. "Cosa...", iniziammo a chiedere ma loro ci risposero divertiti. "I vostri pass", disse quello con il ciuffo rosa e per quanto stupido potesse essere, li seguimmo.
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