Capitolo 3
“Sì, beh…mi pare ovvio che c’è qualcosa che non quadra qui…” ero appoggiata allo stipite di una delle due camere da letto, e facevo girovagare lo sguardo in quel buco nel quale stava incastrato un letto a una piazza a mezzo.
Max mi si fece vicino e sorrise “Non preoccuparti, non devi condividerlo con nessuno”
“Ah..” mi voltai verso di lui “..e voi cosa fate? Dormite per terra?”
“Io e mio fratello dormiamo nell’altra stanza, come facciamo da 26 anni a questa parte…e il tuo Tom sapeva di doversi accontentare del divano. Saremo anche squattrinati, ma siamo comunque gentiluomini”
“Comunque non è il mio Tom, ci tengo a sottolineare..”
“Come vuoi..puoi mettere tutte le tue cose in quella cassettiera lì” e indicò una specie di comodino biancastro e rovinato.
“Cioè nel comodino? Ha si e no due cassetti..comunque non preoccuparti, terrò tutto nello zaino. Non mi sono portata dietro molto e in ogni caso non penso di fermarmi a lungo.”
Indugiò un attimo con lo sguardo su di me “Peccato, saresti stata un piacevole diversivo alle nostre giornate”
Risi e scossi la testa “Vado a farmi una doccia! Dopo 6 ore di viaggio nella macchina di Tom sembra che passi le mie giornate in una fabbrica di sigarette.”
Così mi diressi nel minuscolo bagno dove entrava a malapena la cabina doccia e il lavabo, e dopo essermi specchiata per un nanosecondo, mi spogliai e mi tuffai sotto il getto dell’acqua.
Chiusi gli occhi e rividi nella mia mente tutti i momenti delle ultime ore, dallo sguardo di mia sorella, alle battutacce di Tom, alla prima impressione su quella nuova casa e infine alla sensazione di stare veramente facendo qualcosa per me e per la mia vita.
Per quanto provassi a sforzarmi, non mi veniva proprio da piangere. Magari sarebbe anche stato giusto, dato che in meno di un giorno avevo chiuso la porta su tutto ciò che ero stata per 21 anni, ma non ci riuscivo. Non mi sentivo triste, ne tantomeno sola.
E sapevo che non era dovuto ai 3 ragazzi di là. Non mi sentivo sola perché avevo il controllo adesso, e non ci sarebbe stato più nessuno a dirmi cosa fare, che cosa sognare, che aspirazioni avere, nessuno avrebbe mai più detto una sola parola su quello che mi riguardava, e se non mi sentivo sola era perché mi sentivo finalmente me stessa.
Avrei iniziato il giorno dopo a cercarmi un lavoro. Su internet avevo trovato gli indirizzi delle maggiori riviste di Montreal e avevo già deciso che me le sarei girate tutte. Potevo andarci anche a piedi se Tom non avesse voluto accompagnarmi, in quel momento niente avrebbe potuto fermarmi.
Quando infine uscii da li sotto, mi sentivo completamente messa a nuovo. Non riuscivo a smettere di sorridere e mi presi tutto il tempo necessario per tornare in camera e scegliere una maglia e un paio di pantaloni puliti tra le poche cose che mi ero portata.
Chiamarla camera era davvero un eufemismo, eppure in quel buco c’era addirittura uno specchio appeso alla parete accanto alla porta, nel quale prontamente mi specchiai e pettinai i miei capelli in una treccia scura.
Venne un disastro ma lasciai perdere. In genere era Jill che si occupava delle mie pettinature, fosse dipeso da me sarei sempre andata in giro con i capelli “a caso”, o tutt’al più legati così come capitava in una coda.
Non ero mai stata troppo brava in quelle cose, ma Jill ci si divertiva da matti. Immaginai per una frazione di secondo il riflesso del suo volto accanto al mio.
Quello sarebbe stato un duro prezzo da pagare. Indubbiamente, pensai.
Mi presi un ultimo istante per osservare il mio viso e poi cercai il cellulare nello zaino.
Jill rispose subito.
“Mad! Cazzo perché non mi hai risposto? Ho pensato le cose peggiori”
Sorrisi alla sua solita apprensione, era così tipica di lei.
“Ero sotto la doccia, scusa la prossima volta mi ricorderò di portare il telefono dietro”
“Falla pure la spiritosa…lo sai quanto ci sto male e come penso subito al peggio”
“Lo so, Jill…l’ultima volta che non ti ho risposto perché avevo il silenzioso, c’è mancato poco che mi sguinzagliassi dietro l’FBI…”
“Esagerata” il sollievo le traspariva chiaramente da ogni singola sfumatura della voce.
“Senti Mad…è tutto a posto allora?”
“Sì..completamente. Tom ha fatto il bravo, più o meno” le risposi prima che lo chiedesse lei.
“E i suoi amici sono forti. Penso che mi dispiacerà perfino lasciarli, quando troverò qualcosa per conto mio”
“Bene, sono contenta davvero. Magari puoi anche non crederci, ma è così…solo che mi manchi di già..”
“Anche tu mi manchi…
Restammo per qualche secondo in silenzio. Sicuramente stava cercando il modo migliore per comunicarmi qualcosa, quando se ne stava zitta era sempre quella la spiegazione.
“Senti…mamma vorrebbe parlarti..”
Appunto.
Non potei trattenere un sospiro “Le dico che ancora non ti ho sentita se vuoi…” fece lei, ma il tono era così incerto e poco convincente che mi fece stare ancora peggio.
“No, no..passamela. Prima ci parlo, prima elimino il problema.”
Anche se non potevo vederla sapevo perfettamente che aveva appena scosso la testa e aveva sorriso tristemente.
Con Jill mia madre era sempre andata d’accordo. Con me no.
E mentre a lei questa differenza di comportamenti sembrava non importare affatto, a Jill faceva stare male.
Per quanto mi riguardava, la pensavo come mia madre. Ad ognuna la propria vita. Ma Jill non riusciva proprio a tollerare il fatto che io e lei fossimo così diverse e così disperatamente ai ferri corti.
“Madison” esordì col suo tono più freddo, che comunque non mi causò nessun tipo di sensazione particolare che sicuramente aveva sperato invece di causarmi.
“Mamma”
“Non trovo parole appropriate per descriverti”
“Non ho bisogno di essere descritta in nessun modo, so come sono”
“Posso sapere quanto hai intenzione di farla durare?”
“Mamma, io non torno indietro”
Era così tipico di lei, Dio..dovevo aspettarmelo che avrebbe fatto di tutto per buttarmi giù.
“Finiscila con le stupidaggini. D’accordo, hai voluto fare la bravata…scappare nel cuore della notte con il tuo ragazzo mi sembra romantico…adesso che ci hai lasciati tutti stupiti e ci hai dimostrato che sai prendere in mano la tua vita, puoi tornare. Non abbiamo bisogno di altre dimostrazioni”
“No mamma..tu non hai capito. L’ultima cosa di cui mi importa è dare a voi dimostrazioni di qualcosa…e non voglio neanche giustificarmi. Ho chiamato per farvi sapere che sto bene e che sono viva. Fine della questione.”
“Madison finiscila. Non costringermi a venire a prenderti”
Proruppi in una risata che mi fece quasi spaventare tanto era il gelo che la rivestiva.
“Avanti, vieni. Non aspetto altro. Vieni e dammi un solo motivo per il quale dovrei seguirti.”
“Non ho bisogno di darti motivi. Tu sei mia figlia e questo è il posto dove devi stare. Qui con la tua famiglia. Non vagabondare come una zingara senza meta. Come se in tutti questi anni ti avessimo fatto mancare qualcosa. Sei un’ingrata.”
“E tu sei una stronza”
Probabilmente se l’avessi schiaffeggiata apertamente, sarebbe stato meglio. Immaginavo solo vagamente quanto potessi averla offesa. Non ferita. Solo offesa. Non le importava un accidente dei motivi per i quali sua figlia pensasse quelle cose di lei, l’unica cosa che non tollerava era che stessi tentando in tutti i modi di vincere quella partita. E quello non riusciva a sopportarlo.
“Quando l’eccitazione della novità sarà finita, quando ti sveglierai in una topaia e ti renderai conto della portata del tuo fallimento, quando un giorno ti chiederai che cosa hai fatto della tua vita e ti risponderai con
Niente…ti aspetterò sulla soglia, Madison. Credimi, quando finalmente ti renderai conto che i tuoi sogni non sono altro che sogni, io sarò lì.”
Spensi direttamente il cellulare.
Non volevo sentire davvero altro.
Era incredibile come riuscisse a buttarmi giù anche a chilometri di distanza, anche quando camminavo a tre metri sopra il cielo lei arrivava e mi faceva battere la testa contro la durezza della realtà.
Detestavo le persone così.
Per l’ennesima volta mi domandai come fosse possibile che avessi gli stessi suoi geni.
“Hey…” alzai lo sguardo per accorgermi di Tom sulla soglia della stanza che sorrideva dolcemente.
“Tutto bene?”
“Mia madre…”
“Ah…capito. Vuole che torni?”
Scrollai le spalle “Ha importanza?”
Rise “E’ normale che ti abbia detto di tornare, voglio dire..è tua madre Maddy! Cosa ti aspettavi che ti dicesse? Che fosse contenta?”
Scossi la testa “No…non lo so…magari avrei voluto sentirmi dire che nonostante le avessi spezzato il cuore andandomene, era comunque la cosa giusta. Magari avrei voluto sentirla piangere, sentirla davvero distrutta per me…ma nel profondo contenta…avrei voluto sentirmi dire che una volta tornata a casa mi avrebbe preso a calci per il male che le sto facendo, ma che comunque non avrei potuto fare diversamente perché in fondo lo ha sempre saputo per cosa sono fatta ed era anche l’ora che andassi a prendermi quello che mi spetta…”
Fissai la mano di Tom ferma sulla maniglia della porta e seppi che se lo avessi guardato in faccia, sarei scoppiata a piangere.
“Non c’è niente che possa dirti per farti stare meglio, scommetto…”
Annuii impercettibilmente e mi alzai.
Quando gli passai accanto tentò di abbracciarmi, ma io lo schivai e mi diressi in cucina.
“Ragazzi, vado a fare un giro per schiarirmi le idee” esclamai a nessuno in particolare e a tutti in generale.
“Vuoi che ti accompagni?” Tom mi aveva seguito e adesso mi fissava mentre mi mettevo il cappotto.
“No, Tom..niente di personale, ma ho davvero bisogno di stare per conto mio”
Senza aspettare cenni di assenso o qualsiasi altra cosa, spalancai la porta e scesi le scale.