Scusate è lunghissimo ç__ç
Capitolo 4
Non era esattamente così che avevo immaginato il primo giorno della mia nuova vita, ma se si guardava da una prospettiva diversa, in fondo poteva anche andare bene.
Cosa c’era di più avventuroso del mangiarsi un panino seduta su una scomoda panchina di legno nel Parc Jeanne-Mance?
Una coppia di signori anziani mi sorrisero, camminavano a braccetto e la signora si stringeva nella pelliccia grigia, sorreggendosi al marito.
Quante volte avevo immaginato di diventare così? Invecchiare accanto all’amore della mia vita, fino alla fine dei miei giorni.
Tanto tempo era passato da quei pensieri, da quei sogni forse troppo infantili…perché nella vita si impara presto che cose come l’amore sono difficili da trovare, quasi impossibili da far durare.
Neanche sapevo cos’era l’amore. Ma ero davvero così smaniosa di conoscerlo adesso? Ne valeva la pena? Soffrire per un’altra persona? Mettere in gioco tutto quello che hai, il tuo cuore, i tuoi sentimenti per poi vederli calpestati e ridotti a brandelli?
No, non era il mio caso.
Avevo smesso presto di credere al principe azzurro. Forse quando mi ero resa conto che mai a nessuno sarebbe importato così tanto di me da farmi sentire speciale.
Semplicemente non era una cosa destinata per me.
Per Jill era diverso, lei aveva trovato Todd. Ma di storie come la loro ne esiste una su un milione. Ed io non mi ritenevo così fortunata.
Scrollai le spalle come per far allontanare il più possibile quel pensiero da me. In fondo non ero mica venuta in Canada per trovare l’amore, era l’ultimo dei miei pensieri.
Finii il mio panino e decisi di rimanere seduta lì, a riflettere.
La gente non lo faceva mai abbastanza, nessuno aveva più tempo per se stessi, o forse se ne dedicavano troppo ma per le cose sbagliate.
Tirai fuori la mia macchina fotografica e la puntai in un punto imprecisato di fronte a me. C’erano dei bambini che si rincorrevano e mi sarebbe piaciuto fermare esattamente quei movimenti sulla pellicola.
Quelle risate, quella spensieratezza, quella ingenuità…mi sarebbe piaciuto tenerle sempre con me, così da ricordarmi in qualsiasi momento quali fossero le cose importanti.
Presi la foto di me e Jill che tenevo ancora in tasca e mi lasciai sprofondare nei nostri ricordi. In quelli belli, quelli quando papà tornava dal lavoro e si metteva a sedere sul pavimento del salotto e io e lei gli correvamo incontro e lui tirava fuori ogni sera un regalo diverso.
Accarezzai i capelli della me stessa della fotografia. Ricordavo esattamente il profumo di shampoo alla camomilla che si diffondeva per tutta la stanza quando mamma ci faceva la doccia.
Ogni volta che ripensavo a noi a quell’età, il primo odore che mi colpiva la mente era sempre quello della camomilla.
Le cose non erano rimaste in quel modo per tanto.
A volte mi sarebbe piaciuto chiudere gli occhi per trovarmi ancora a 10 anni circondata dalle bambole e rendermi conto che tutto il mio futuro era ancora da scrivere, che potevo ancora essere qualsiasi cosa avessi voluto. Sì, sarebbe stato davvero bello.
Rimisi in tasca la foto e stavolta decisi di alzarmi. Non volevo far preoccupare troppo Tom, probabilmente si stava facendo delle domande sulla mia sanità mentale dato il mio comportamento delle ultime ore, e non mi andava che si preoccupasse troppo per me.
Passai accanto ai bambini e mi soffermai un istante a guardarli un’ultima volta. C’era una bimba biondissima che si dondolava sull’altalena e il cappellino rosso le metteva in risalto i boccoli dorati, era uno spettacolo solo a guardarsi.
Le sorrisi e lei rivolse i suoi splendidi occhi nocciola su di me, agitando una manina dopo un secondo.
Se mai avessi avuto una figlia, avrei voluto che fosse esattamente così felice. Con quella stessa identica espressione spensierata.
Voltai la testa e ripresi a camminare.
Non sapevo esattamente come fossi arrivata in quel parco, quindi ritrovare la strada di casa ora si presentava come un problema.
Non avevo fatto molto caso a dove stavo andando prima, e mi ero trovata nel Parc Jeanne-Mance quasi per caso. Forse avrei dovuto chiedere indicazioni a qualcuno.
In ogni caso uscii dal parco e continuai a camminare senza un motivo preciso, solo seguendo i piedi. In fondo se si muovevano in una direzione particolare, ci doveva pur essere un motivo.
Era primo pomeriggio, ma il freddo era così intenso che mi sembrava ricoprisse tutto con uno strato biancastro talmento fitto che si sarebbe potuto affettare con un coltello, avrebbero potuto essere le 02.00 come le 06.00…mi sembrava che cose come la cognizione spazio-temporale non mi riguardassero più adesso.
Fu solo dopo un bel po’ che cominciai a rendermi conto che forse stavo sbagliando totalmente strada.
Le case del circondario non mi parevano niente di neanche vagamente familiare ed anche la vegetazione si era fatta più sporadica, solo qualche albero sparso qua e là, quasi per sbaglio.
Non ci misi molto ad accorgermi che anche la concentrazione di esseri umani era di molto diminuita rispetto alle strade inerenti al parco.
In più adesso era davvero freddo.
Mi avvolsi ancora di più la sciarpa attorno al collo e mi guardai per qualche secondo intorno. Se avessi visto anche solo l’ombra di qualcuno, avrei chiesto indicazioni, ma quello sembrava un problema dalla soluzione sempre più difficile.
Avrei camminato un altro po’ e se proprio fossi stata costretta, avrei suonato a qualche porta per farmi dire la strada giusta.
In cuor mio pregai che l’indirizzo che ricordavo vagamente di aver letto nel cartello in fondo alla via quando ero uscita di casa, fosse giusto.
A un certo punto decisi di attraversare e proseguire nella traversa sulla sinistra, giusto per non continuare a camminare sempre dritto.
Era una via lunghissima, costeggiata da enormi palazzoni anonimi e sgangherati.
D’accordo non è che anche dove avessimo casa noi fosse esattamente un quartiere residenziale, ma sicuramente migliore di quello. In ogni caso decisi di continuare a camminare, magari in fondo alla strada avrei trovato la giusta traversa.
Mi sentivo stranamente nervosa però. Non c’era una bella atmosfera, dovevo riconoscerlo.
Faceva molto film d’azione vecchio stampo.
Magari mi sarei trovato nel bel mezzo di una sparatoria per qualche faida di quartiere, quello sì che avrebbe dato una scossa alla mia vita, mi ritrovai a pensare quasi tristemente.
Quasi inconsapevolmente affrettai il passo e mi ritrovai il respiro corto dopo pochi minuti.
Avevo paura?
Nel momento stesso in cui mi posi quella domanda, mi resi conto che sì..avevo paura.
Il cielo aveva cominciato a scurirsi e a quel punto non avrei davvero saputo dire che ore fossero, l’unica cosa che volevo era continuare a camminare per arrivare a una svolta.
Una svolta che non era destino dovesse arrivare.
Ma dipende dai punti di vista perché invece una svolta, ma di tutt’altro tipo e soprattutto completamente inaspettata, arrivò eccome…
“Hai intenzione di arrivare fino al muro e toccarlo con mano per renderti conto che non è un’illusione e solo allora decidere di tornare indietro?”
Mi voltai, presa completamente alla sprovvista e non so onestamente come riuscii a trattenermi dal non gridare con quanto fiato avessi in corpo.
Un ragazzo con un cappellino e un paio di jeans neri se ne stava a qualche metro di distanza, le mani infilate nelle tasche della giacca e un’aria assolutamente tranquilla.
Troppo secco per essere un aggressore, registrò mentalmente il mio cervello.
“Scusami?”
“No dico, hai intenzione..”
“Ho capito cosa hai detto…” lo interruppi
“Ah, allora?” mi chiese, avvicinandosi di qualche passo.
“Allora cosa? Dovrei essere io a chiedertelo!” risposi piccata.
“Puoi pure arrivare in fondo alla strada, io ti aspetto qui e quando ritornerai indietro ti accompagno dove devi andare”
Non sapevo se essere più sconvolta dalla sua affermazione o da quella sua aria così dannatamente serena.
“Ma…” sorrisi “…ci conosciamo per caso?”
Assunse un’aria pensierosa “Non mi pare”
Cominciai a chiedermi se avesse qualche problema e per un istante contemplai l’agghiacciante possibilità di trovarmi di fronte ad uno psicopatico che mi avrebbe fatta a pezzettini e nascosto i resti del mio corpo in un sacco della spazzatura.
“Allora scusami, ma non penso di seguirti”
“Non sei di qui vero?”
Per quanto la parte razionale di me stessa mi stesse urlando di scappare via il più in fretta possibile, mi trovai incapace di muovere un passo se ciò comportava smettere di fissare quel sorriso così pacifico.
Scossi la testa “Credo di essermi persa in effetti”
“Ma non mi dire” alzò gli occhi al cielo prima di ritornare a fissarmi.
“Allora, dove devi andare?”
“Ma perché dovrei dirlo proprio a te? Chi midice che non sei un maniaco?”
Scoppiò a ridere “Ok, ti do ragione. In effetti potrei esserlo, ma se non vieni con me non lo scoprirai mai”
“Ah beh, questo sì che mi conforta davvero”
Tornai a fissare il fondo della strada, sbarrata da un muro sporco e pieno di murales, prima di voltarmi veso di lui.
“Sai il pensiero che tu mi stessi seguendo non mi facilita nel darti la mia fiducia”
“Hey ti ho seguita perché ho capito dove stavi andando e ti assicuro che questo non è il miglior posto al mondo per una ragazza sola e indifesa”
“Ho l’aria dell’indifesa?”
Annuì vigorosamente e poi riprese a sorridere “Totalmente”
“Senza offesa, ma se arrivasse una banda di malintenzionati non credo che riusciresti a fare la differenza…”
“Ok, farò finta di non aver sentito quest’ultima affermazione. Adesso se vuoi seguirmi, ho la macchina posteggiata qua vicino. Ti accompagno dove devi andare e poi potrai ringraziarmi”
Probabilmente ero pazza a seguire un perfetto sconosciuto, per quanto il suo sorriso fosse il più confortante che avessi ma visto, ma presente quando avverti con ogni fibra di te stessa che sei arrivata ad un punto fermo della tua vita? Uno di quei momenti che la segneranno per sempre, che te la faranno sempre pensare come divisa a metà…ciò che c’era prima di quel momento e ciò che c’è stato dopo…ecco. Mi sentii esattamente così. Sapevo che non avrei potuto fare altrimenti, avrei solo potuto avvicinarmi a lui e iniziare a camminargli di fianco.
Non ho mai creduto al destino…l’idea che la mia vita sia già stata scritta e definita mi fa innervosire, ma quel giorno, in un quartiere malfamato di Montreal, ebbi la netta sensazione che qualcuno, da qualche parte, l’avesse fatto.