Capitolo 3Quando salii nel taxi, mi convinsi che fosse la cosa più giusta da fare andarmene via.
Non volevo perdere la testa per un altro ragazzo che si era semplicemente dimostrato gentile nei miei confronti. Ero fermamente convinta a mettere un freno a quella parte di me.
Diedi l'indirizzo di casa di Sam al tassista e presi a guardare fuori dal finestrino il sole sorgere tra i grattacieli di Brooklyn.
Mi feci lasciare all'ingresso di Central Park e andai verso il laghetto. Dovevo essere pazza a vagare conciata a quel modo e a quell'ora con soli tre gradi sopra lo zero.
Ma ero ancora in quel momento in cui di solito resti incastrata tra la fine di un concerto quando hai ancora le orecchie che ti fischiano e l'inizio della nuova giornata che ti trascina con forza lontano dall'adrenalina, però è ancora così vivido quel ricordo, che ti basta camminnare per non sentire più freddo, perchè ti senti ancora come in quel posto.
Restai con lo sguardo fisso davanti a me fin quando le papere non cominciarono ad avvicinarsi facendomi decidere di andarmene.
Non ero del tutto convinta fosse a casa quando, saliti i tre gradini che portavano alla porta d'ingresso, suonai.
Ci mise un pò a venire ad aprire e quando mi vide sembrò sinceramente sorpreso.
"Ehi bellezza che ci fai qui?".
"Potrebbe essere che tu mi abbia dimenticata ieri?".
"No. Ti ho lasciato lì da sola. Avevamo rotto, ricordi?".
"Si ma le mie cose sono da te ed ero andata lì con te. Avresti dovuto...".
"Non ero molto lucido".
"Si vede".
"Allora, devi prenderla adesso la tua roba? Stavamo dormendo".
Vidi Jhon steso a terra con il basso ancora in braccio, doveva esserselo tenuto addosso per tutto il traggitto dal locale di Brooklyn a casa di Sam.
"Io...", cercai qualcosa da dire che fosse il più lontano possibile dal sembrare una richiesta di aiuto e tutto quello che trovai fu "Devo andare via. Quindi mi servirebbe adesso. E poi la mia macchina sta qui", dissi voltandomi verso la strada dove la mia minuscola macchina dormiva placidamente ricoperta dalla brina notturna.
"Le chiavi sono dentro. Adesso te le porto. Aspetta devi entrare".
Si passò una mano tra i capelli vagamente lunghi e biondi spettinandoli più di quanto non avesse già fatto il sonno.
E mentre se ne stava lì in piedi con addosso soltanto una canottiera bianca macchiata di ketchup e birra e gli slip, capii che ne avevo davvero abbastanza.
Lo guardai negli occhi e capii che era davvero il limite che potevo sopportare quello.
Quando me ne ero andata di casa, lui mi era sembrato la risposta ai sogni che avevo fatto da adolescente, ma avrei dovuto rendermi conto molto prima che non lo era affatto e non dopo due anni.
E' incredibile quando tempo ci vuole a riempire una casa e quando poi te ne devi andare, le cose importanti stanno tutte in due scatole che si chiudono perfettamente.
In meno di mezz'ora, avevo recuperato tutte le cose a cui tenevo che avevo portato lì nel corso del tempo perchè mi ero convinta che avere metà armadio e un comodino e poter lasciare il tuo spazzolino vicino al suo, significasse vivere la favola perfetta della coppia felice, perchè tanto finchè lui avesse suonato, sarebbe stato il ragazzo dei miei sogni e potevo accontentarmi di quelle sciocchezze.
Ora che tutto era finito, e nulla era stato detto, non avvertivo nessun senso di vuoto o di sbagliato o di mancanza.
Sapevo che quando sarei uscita da quella casa, avrei tirato un sospiro di sollievo per non essere rimasta intrappolata in un incubo.
Presi le scatole, guardai lui, lo guardai negli occhi un'ultima volta e seppi esattamente la csoa giusta da fare.
Capii che dovevo andarmene e lasciar perdere la fantasia che mi ero costruita con lui e semplicemente andare a cercare una realtà che mi facesse smettere di sognare.
Semplicemente andarmene e lo feci.
Quando mi chiusi la porta alle spalle, tornando in strada, non guardai più in dietro e mentre la macchina si allontanava, non ebbi neanche un ripensamento.
Guidai fin quando non fui fuori città, in quella che doveva essere aperta campagna, probabilmente Glens Falls e quando fermai la macchina e scesi, guardandomi intorno, decisi che avrei iniziato a costruirmi la mia realtà, partendo da un viaggio di tre ore in direzione nord.
Di partire da un posto dove avevo sempre voluto andare. Di partire dal Canada.